Festa

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Arlecchino è una maschera bergamasca della Commedia dell’Arte, legata alla festa del Carnevale

1. Definizione

La f. è il tempo in cui si celebrano i miti e i riti di una comunità.
Il mito è il racconto che espone per simboli i contenuti dottrinali, le origini, la vita e la fine del cosmo e dei suoi abitanti. Il rito è l’azione che realizza la grazia e il benessere dell’universo, della società e dell’individuo. La concezione del mondo è strettamente connessa con l’azione rituale e per questo la f. è un atto performativo di pensiero e azione (Linguistica). Nelle f. religiose si enunciano le verità relative al rapporto tra vita e morte, tra un ‘questo mondo’ e un ‘altro mondo’, tra il regno di dei, antenati, umani e le creature della natura. Poiché ogni concezione del cosmo è fondata sulla gerarchia di tutti gli esseri secondo precisi valori morali, il sistema religioso codifica le transazioni tra essi, sia quelle desiderabili che quelle indesiderabili, sia quelle meritate che quelle immeritate.
Caratteristica dei rituali e delle f. è la presenza da una parte di comportamenti rigidamente prescritti, dall’altra di fattori variabili legati alle attese e agli interessi dei partecipanti che rendono i riti sempre aperti a significati contestuali. Resta difficile, in generale, separare in modo netto ciò che è rituale da ciò che non lo è. Tuttavia, pur non essendo possibile separare l’ambito rituale da altri ambiti, ogni società definisce e mette in calendario cerimonie, rappresentazioni e f. che si possono identificare come esempi tipici o focali di ‘rituali’.
Elementi costitutivi della f. sono l’esperienza comunitaria, la presenza di attività espressive a carattere simbolico-rituale o ludico-cerimoniale, la periodicità, il netto distacco dal tempo e dalle attività quotidiane, l’emozionalità, la funzione socioculturale.
Il piacere della f. è in gran parte dovuto alla esperienza di sintesi di ciò che è normalmente separato: lo spirito e la materia, l’alto e il basso del corpo, la destra e la sinistra, il servo e il padrone, l’individuo e la comunità. La f. non è solo un’esperienza di trasparenza in cui si rende visibile ciò che è invisibile, ma un’azione di riconciliazione tra il sé e l’altro, attuata attraverso la scoperta del sé negli altri e delle istanze estranee nel sé. Grazie alla condivisione delle immagini e delle rappresentazioni simboliche la f. accresce la solidarietà e rinnova il legame sociale. Non a caso il personaggio centrale della f. è in genere una rappresentazione della totalità. Esempio di figura che unifica categorie normalmente separate è Arlecchino. La maschera nera, che ricorda la sua origine inferica, insieme alle espressioni vitali di appetito e sessualità manifesta il rapporto profondo tra la vita e la morte. Il suo vestito, formato da tante pezze, rappresenta la composizione dei frammenti sociali. Nello stesso tempo ‘matto’ e saggio, Arlecchino è figura della conciliazione tra ragione ed emozione, sacro e profano, natura e cultura.

2. La fine della f.

Elemento ricorrente di ogni discorso sulla f. è il tema del declino delle forme festive nella cultura occidentale, attribuito in generale alle trasformazioni socioculturali dell’era moderna quali la rivoluzione industriale, lo sviluppo delle comunicazioni e l’imporsi di modelli individualisti di consumo e di ostentazione. Nella società contemporanea il tempo della f. si sarebbe convertito in tempo libero, occupato in realtà da una ritualità seriale, mercificata, standardizzata. Le f. oggi non sarebbero altro che vacanze o periodi di pausa nei quali prevalgono il consumismo, lo spettacolo, il fracasso, l’esteriorizzazione di forme simulacrali. Le f. sarebbero un particolare tipo di prodotti commerciali, subordinati alle leggi del mercato e ai profitti che si ricavano grazie all’organizzazione delle vacanze e del tempo libero, ai consumi indotti, all’invenzione e distribuzione delle emozioni artificiali dei media e degli spettacoli. Il festivo contemporaneo sarebbe insomma la più beffarda delle alienazioni, perché apparentemente fondata sulla libertà, creatività e piacere dei consumatori.
Le ragioni dell’eclissi del festivo nella cultura occidentale sono collegate all’eclissi del sacro, che non può essere spiegata se non si affrontano le questioni poste dalla religione più diffusa in Occidente, ovvero il Cristianesimo.
La prima questione è quella del tempo. Franco Cardini (1983) ricorda che Tempo e Morte sono fratelli. Hanno gli stessi emblemi: le ali, la falce, la clessidra, simboli di un adesso imprendibile, sospeso fra un passato che non c’è più e un futuro che non c’è ancora. Il tempo fa paura perché è precarietà e morte. Ed è proprio al tempo come corruzione che l’umanità vuole sfuggire. Il tempo spaventa per il suo carattere d’irreversibilità, di tempo storico e lineare che porta sempre a una fine. Proprio contro la corruzione del tempo, la liturgia delle grandi f. calendariali è ‘ciclica’, fuori del tempo in quanto Eterno Ritorno.
Se tutte le religioni sono accomunate dalla promessa di garantire ai propri fedeli il superamento della corruzione della carne e del tempo, una prima fondamentale distinzione si pone tra le religioni – come quelle ebraica e cristiana – che parlano di un Dio che salva nella storia e quelle invece che tendono a negare la storia e considerano la vita reale un’illusione dalla quale fuggire e il tempo quotidiano come corruzione dell’Eterno. Nelle religioni monoteiste la salvezza è la conciliazione dell’Eterno e del Tempo e la storia umana è una freccia che corre verso un futuro glorioso e la pienezza dei tempi. Nel caso delle religioni politeistiche la situazione paradisiaca, l’età dell’oro, sta invece alle origini, all’inizio del mondo.
Mircea Eliade (1975) ha spiegato, attraverso i profili religiosi dell’uomo tradizionale e dell’uomo moderno, in cosa consiste la diversità tra concezione storica e visione atemporale del cosmo. L’uomo arcaico si libera di ciò che è stato, annullando la sua propria ‘storia’ con l’abolizione periodica del tempo e la rigenerazione collettiva delle f. calendariali. Il ritorno ciclico alla condizione primigenia permette a ogni uomo di iniziare a ogni Capodanno una nuova esistenza. L’immersione esistenziale nell’eternità divina della f. abolisce il tempo profano. Se si cade nell’errore di rimanere nel tempo storico, nel tempo della corruzione, l’uomo sciupa ogni volta la possibilità di purificarsi da ogni colpa e di rinascere. Conserva sempre tuttavia la libertà di cancellare queste colpe a ogni celebrazione rituale e di tentare nuovamente la definitiva uscita dal tempo. Eliade considera l’uomo arcaico non solo più libero, ma anche più creatore dell’uomo moderno (al quale riserva soltanto l’ambito storico) in quanto, ogni anno, partecipa alla ripetizione della cosmogonia, ossia l’atto creatore per eccellenza. La posizione antistorica più netta si trova in Oriente, il cui pensiero rifiuta il destino irreversibile dell’essere umano e le cui tecniche rituali propongono il superamento della condizione umana, per arrivare alla creazione di un essere libero e liberato dalle illusioni del tempo storico, alla creazione su un piano sovrumano di un uomo-dio, come l’uomo storico non ha mai immaginato di poter essere.
L’orizzonte degli archetipi e della ripetizione rituale dell’uomo arcaico non appartiene invece al mondo giudaico-cristiano, che ha introdotto la nuova categoria della fede in un Dio collocato al di fuori dello spazio, del tempo, delle cose. La fede attraverso l’emancipazione assoluta da ogni specie di ‘legge’ naturale fornisce la più ampia libertà all’uomo di intervenire sullo stato ontologico dell’universo. Essa è, di conseguenza, una libertà creatrice per eccellenza ed è, inoltre, l’unica capace di proteggere l’uomo moderno dal terrore della storia, in quanto offre la certezza che le tragedie umane e le catastrofi naturali hanno un significato superiore o transtorico. Non così altre forme religiose, magiche e politeiste (totemismo, culto degli antenati, dee della fecondità ecc.), in cui archetipi, natura e ripetizione ciclica difendevano l’uomo dall’orrore della storia.
Eliade ricorda che per il cristianesimo il tempo è reale perché ha un senso: la redenzione, che traccia il cammino dell’umanità dalla caduta iniziale fino alla salvezza finale. Il senso della storia è unico, perché l’incarnazione, passione e morte di Cristo sono un fatto unico, irripetibile. Il fluire della storia è comandato da questo fatto. Unico, di conseguenza, è il destino dell’umanità che si gioca una sola volta nel tempo concreto e irripetibile della vita. Eliade non chiarisce gli scopi della redenzione cristiana, dimenticando di affrontare non la questione del tempo corruttibile, ma della morte inflitta agli altri uomini, ossia il problema della violenza. Se tutto infatti è divinamente stabilito, se tutto è immodificabile e gli uomini possono solo annullarsi nel mondo degli dei, gli errori e gli orrori di questo mondo non ci devono interessare e nulla possiamo fare per evitarli o almeno diminuirli.
Secondo René Girard (1980) invece questo è il senso della rivelazione cristiana: il superamento della violenza e dei conflitti tra individui e comunità, e la conciliazione tra uomo e cosmo, eternità e tempo. Girard individua nella mimesi d’appropriazione, ovvero ciò che divide facendo convergere il desiderio di due o più individui su un solo oggetto, la radice dei conflitti umani e quindi del male. Quando il desiderio competitivo si diffonde nella società, inevitabilmente si scatena una follia mimetica che conduce alla guerra di tutti contro tutti e alla autodistruzione della comunità. Per questo motivo la preoccupazione fondamentale delle società arcaiche era quella di proibire in tutti i modi i comportamenti mimetici e, in maniera più radicale, di impedire – nei limiti del possibile – posizioni e situazioni simmetriche o di uguaglianza tra gli uomini, generatrici di violenza in quanto generatrici di modelli mimetici conflittuali.
La soluzione elaborata dalle diverse civiltà umane per fermare l’odio tra gli uomini è stata quella di ricorrere alla mimesi dell’antagonista, suscitando la convergenza di due o più individui contro un capro espiatorio. Per Girard l’atto fondativo di una comunità è la coalizione dei suoi membri contro qualcuno considerato la causa dei conflitti sociali e dei disastri naturali che rischiano di distruggerla. La cruenta eliminazione della vittima riesce in effetti a purificare la comunità da ogni rivalità e ostilità interna. Il ritorno alla calma conferma la responsabilità della vittima nei disordini mimetici che hanno turbato la vita sociale. La comunità inoltre si percepisce come del tutto passiva di fronte alla sua vittima, che deve apparire, invece, il solo agente responsabile della vicenda. Se l’inversione del rapporto reale tra vittima e comunità si perpetua nella risoluzione di ogni situazione di crisi sociale e politica, la vittima diventa sacra. La soluzione sacrificale di un capro espiatorio divinizzato fonda per Girard il sistema religioso che obbedisce a due imperativi principali. Il primo prescrive di non ripetere i gesti della crisi, astenersi da ogni mimetismo, da ogni contatto con gli antagonisti e da ogni gesto di appropriazione nei riguardi degli oggetti che sono serviti da causa o da pretesto alla rivalità. È l’imperativo del divieto. Il secondo richiede invece la ripetizione dell’evento miracoloso che ha posto fine alla crisi primordiale, attraverso l’immolazione di nuove vittime sostitutive della prima in circostanze il più possibile identiche a quelle dell’esperienza originaria. È l’imperativo del rituale. La cultura umana scaturisce da questo doppio imperativo del divieto e del rituale, dallo sforzo dell’intera comunità di non cadere nella crisi mimetica del conflitto umano. Attraverso l’arginamento delle forze mimetiche da parte dei divieti e il loro incanalamento nelle direzioni rituali, la cultura umana estende e perpetua l’effetto riconciliatore del capro espiatorio. Il religioso non sarebbe altro che lo sforzo sovrumano per mantenere la pace, ottenuta attraverso il minimo atto di violenza costituito dal sacrificio.
Il cristianesimo rifiuta il meccanismo sacrificale e la violenza fondatrice degli antichi culti. Cristo rivela l’esistenza di un Dio che è amore e che vuole farsi conoscere e amare dagli uomini senza intermediario sacrificale. In tal modo dimostra come falsa la credenza che attribuisce al capro espiatorio (e al dio che lo simboleggia) la responsabilità di tutti i mali che capitano agli uomini, mettendo in crisi sia la necessità della violenza sia tutte le correlative giustificazioni mitologiche delle religioni sacrificali.
Il cristianesimo si oppone radicalmente a quel mondo, il cui principe, come è detto nel Vangelo, è Satana, l’omicida che è all’origine non soltanto di rivalità e disordini, ma di tutti gli ordini menzogneri nei quali vivono gli uomini. L’assassinio e la violenza sacrificale sono infatti dissimulati da poetiche giustificazioni mitologiche. L’opposizione tra il regno d’amore di Cristo e il regno della violenza di Satana ha come prima conseguenza la frattura tra politica e religione. Per Girard la morte di Cristo non è un sacrificio volontario, né l’ennesima prova che è meglio che uno muoia per il bene di tutti (Giovanni 11,49-51), ma l’effetto della violenta reazione degli uomini di fronte alla verità inaccettabile che ciò che li tiene assieme è la violenza sacrificale. Per questo stesso motivo il cristianesimo continua a essere scartato, deriso e censurato dal mondo e dai suoi principi. Poiché toglie le maschere alle mirabili costruzioni intellettuali che nascondono abilmente il seme, la vita e i frutti dei violenti, il cristianesimo incrina la salda alleanza tra politica e religione, come fondamento della vita sociale, e avvia un processo di desacralizzazione del potere che conduce alla fondazione interiore della divinità e della legge morale, alla laicizzazione dei legami interpersonali, allo sradicamento delle radici magiche e rituali dell’ordine sociale e dunque cosmico.
Nei Paesi influenzati dal cristianesimo crolla sì la f., ma come sacrificio e come violenza. Al suo posto si celebra la f. incruenta, il banchetto in cui non si consuma un agnello sgozzato o un monarca decapitato, ma del pane e del vino, frutti del lavoro dell’uomo.
Come religione della libertà, della non violenza e della pace, il cristianesimo non può sostenere a lungo l’unicità e l’obbligatorietà del suo culto e delle sue f., altrimenti cade nell’antico sistema sacrificale e nell’ordine violento. La f. cristiana è diventata di fatto, nel corso del tempo, una opzione. Oggi convive con altre f., con altri calendari, con altre concezioni di vita. Ad esempio, nel caso del Natale, evento centrale per la storia della salvezza cristiana, rispetto alle pratiche, ai riti, simboli e immaginari specifici della tradizione religiosa, ha assunto maggior peso la celebrazione secolarizzata della f. intima in famiglia e con gli amici. La profusione di luci e di addobbi, l’atmosfera magica natalizia in cui tutti diventano gentili perfino nei luoghi di lavoro, l’acquisto di regali lussuosi, le ricche tavole imbandite si giustificano come fatti eccezionali, come atteggiamento trasgressivo o riscatto di un comportamento ordinario fondato sull’individualismo e sul freddo mondo degli interessi e dei profitti. La bontà episodica, gli auguri superstiziosi e l’orgia consumistica però non hanno nulla da spartire con il Natale cristiano.
Il pluralismo della f. moderna è più evidente a Capodanno, semplice segmento del più ampio tempo natalizio, che va dal 25 dicembre al 6 gennaio, percepito in sostanza come vacanza scolastica e pausa del lavoro nel cuore dell’inverno. Il nostro Capodanno è molto distante dalla tensione di rigenerazione sacrale, cosmica e sociale delle grandi f. arcaiche. Le calende di gennaio sono una f. di inizio d’anno per modo di dire. Infatti nell’Occidente industrializzato il principio reale dell’anno comincia ai primi di settembre, quando riaprono le fabbriche, le scuole, i negozi, e uffici e locali pubblici tornano ai loro ritmi consueti.
La società occidentale propone dunque una varietà di forme festive che prescindono dalla tradizione religiosa. Moltissime sono le occasioni per fare f. Proliferano fiere, sagre, festival, animazioni, gare, concerti e ogni tipo di manifestazioni, particolarmente numerose nel periodo estivo. Non si contano le f. private come il compleanno, la laurea, una promozione di carriera, il matrimonio, gli anniversari. Ognuna di queste occasioni riesce ad aggregare una quantità di persone senza che ci siano fra i partecipanti particolari relazioni di parentela o di conoscenza. Anche il viaggio può considerarsi una f., poiché mette in relazione soggetti con ambienti straordinari, diversi dal grigio spazio di vita quotidiano. Lo stesso sapore eccitante hanno tutti gli eventi che promettono una celebrazione dello stare insieme e riescono a creare emozioni e novità, come la vittoria politica ed elettorale di un partito o di un leader o i trionfi sportivi della squadra del cuore o di un campione. Le nuove f. non scalzano tuttavia la tradizione, che continuamente si reinventa, anche se si eliminano o si riducono f. un tempo molto sentite, come Sant’Antonio abate (17 gennaio).Tra le f. tradizionali grande vitalità conservano i carnevali e la f. dei morti ai primi di novembre.

3. La f. moderna

Le differenze principali tra f. tradizionali e f. nuove riguardano la comunità, il tempo, gli spazi e il genere. Per quanto riguarda la struttura sociale, le f. tradizionali, tipiche delle popolazioni rurali, vengono definite dagli antropologi come ‘opera degli dei’ essendo l’ideale realizzazione della comunità, nel senso che i rituali festivi, intensificando le relazioni sociali, rinnovano in modo potente la coesione comunitaria e l’adesione dei singoli partecipanti. In questi casi è la comunità che rende possibile la f. e questa, a sua volta, rende visibile e desiderabile la comunità. Nelle f. moderne, prevalentemente urbane, risulta invece impossibile osservare nei rituali festivi la comunità che essi dovrebbero esprimere. La loro funzione piuttosto è quella di inventarla o costruirla. Poiché le nostre società sono pluraliste, frammentate, formate da gruppi e individui in continuo movimento di aggregazione e disgregazione, è di solito necessario un intenso lavoro di organizzazione esterna perché sia possibile vivere la f. in qualche maniera. Da questo fatto discende l’esigenza di una gestione professionale dell’evento festivo.
Riguardo al tempo, la concezione ciclica strettamente legata al passaggio delle stagioni e alle fasi lunari configurava la f. premoderna come un ordine del tempo. Il lavoro quotidiano e l’usura del tempo storico richiedevano un soggetto sociale comunitario che, nel tempo sacro e regolato delle f., fosse in grado di rigenerarsi a ogni ciclo per assicurare a se stesso una continuità illimitata. Nell’ambito di questo ordinamento del tempo le società tradizionali appaiono come comunità insensibili al passare del tempo. La tradizione è la forma mediante la quale agli occhi della gente gli anni e le f. passano, ma la comunità resta e viene quindi percepita come entità superiore alle persone che la compongono. La Chiesa conserva in parte l’ordinamento ciclico delle società tradizionali nell’anno liturgico che celebra gli atti fondamentali della vita di Cristo e di Maria, sua madre, e commemora i santi come esemplari seguaci di Cristo. Il tempo cristiano è però celebrazione della storia della salvezza, la celebrazione di una triplice Pasqua, quella passata della morte e resurrezione di Cristo, la sua attuazione nel presente, quella finale del ritorno di Cristo nella gloria. La spirale o la ruota come conciliazione del moto circolare del tempo e del suo spostamento lineare rappresenta l’immagine del tempo salvifico. L’attenzione cristiana verso il tempo storico e verso la salvezza non più collettiva, ma individuale, ha avuto conseguenze soprattutto in ambito non religioso. Proprio gli eventi storici hanno cominciato a fornire fin dall’inizio dell’età moderna materiale di celebrazioni festive, come le nascite, matrimoni, ingressi, morti di re e persone illustri. Gli anniversari degli uomini, dei fatti, delle opere memorabili costituiscono ancora oggi gran parte degli eventi festivi dei Paesi occidentali. Se quindi le comunità tradizionali celebravano le opere degli dei, l’era moderna celebra le opere degli uomini.
La tradizione celebrativa si è trasformata, come hanno spiegato Hobsbawm e Ranger (1987), in invenzione della tradizione. In Occidente la scissione tra politica e religione ha portato lo Stato a cercare fonti proprie di legittimazione e di aggregazione, partendo dal patriottismo nazionale e arrivando a forme totalitarie di religione politica – come il fascismo, il nazismo, il marxismo – ovvero un sistema di miti e riti di unità e di fedeltà capaci di spingere i membri della collettività o di un gruppo a sacrificare se stessi e gli altri per la causa. La storia europea del Novecento ha ampiamente dimostrato con l’orrore dell’Olocausto, delle rivoluzioni e delle guerre che è meglio diffidare delle religioni statali, delle ideologie e di ogni forma di dominio, anche nel campo economico e tecnico-scientifico.
La f. odierna è una celebrazione opzionale, un giorno non lavorativo, una pausa, un riposo. Partecipare a una f., un tempo, era invece un obbligo sacro, un precetto da prendere molto sul serio, pena l’esclusione comunitaria. Per le stesse ragioni l’organizzazione e la partecipazione della f. moderna non dipendono più dai residenti in un certo luogo o territorio. Chi si impegna a fondo nelle f. o lo fa per motivi professionali o per spirito di volontariato o per impegno etico nei confronti di qualcuno o qualcosa. Per questa sua forte componente di libertà la f. moderna è altamente a rischio. In passato solo il tempo inclemente poteva rovinarla. Oggi la riuscita di una manifestazione dipende invece dalla risposta del pubblico. Il rischio non è solo l’assenza di partecipanti. In caso di folla cresce il pericolo di incidenti, attentati o di esiti violenti, per cui la programmazione degli eventi e delle f. si fa sempre più meticolosa e diventa massiccia la sorveglianza.
Gli spazi della f. attuale non sono più necessariamente quelli carichi di simboli locali. Gli spazi aperti più ambìti come le piazze, i centri storici e le strade principali, trasformate con archittetture effimere in scenari festivi, non celebrano più la grandezza di una città o di una istituzione, ma piuttosto il rovesciamento della vita quotidiana racchiusa tra casa e posto di lavoro. Le f. di città propongono anche una percezione diversa degli stessi spazi urbani, invasi ogni giorno dai mezzi di trasporto e vissuti in modo frenetico. Più spesso vengono utilizzati spazi periferici, perché più ampi e aperti e più funzionali all’accoglienza di masse di persone per manifestazioni come sagre, fiere, spettacoli circensi, esibizioni sportive, ecc. Talvolta lo spostamento della f. negli spazi periferici più che per motivi logistici rappresenta una strategia di salvaguardia del centro storico della città, un modo per circoscrivere e limitare gli effetti nocivi delle f. popolari. La caratteristica delle società moderne è però quella di disporre di molteplici locali o spazi circoscritti atti a ospitare f. ed eventi come teatri, discoteche, auditori, cinema, saloni per cerimonie, aule per congressi, gallerie, centri sociali, case della cultura, stadi, arene, parchi, palazzi, ristoranti, alberghi, circoli, musei, ecc. Si tratta di spazi predisposti per accogliere un pubblico suscettibile d’essere contato e controllato. La proliferazione di questi spazi non risponde solo a fini commerciali, ma esprime le esigenze di diversificazione della f. per gruppi, modi e tempi.
Le f. private, di pochi per pochi, sono anche il modello sotteso alla f. pubblica di tutti per tutti. Il passaggio cruciale dalle società tradizionali a quelle moderne è costituito dal processo di disgregazione del sistema festivo come unico complesso mitico-rituale e l’instaurarsi di sistemi differenziati con lo sviluppo autonomo di specifiche forme di discorso come la poesia, il teatro, la musica, la danza, il canto, un tempo articolati nel fenomeno globalizzante della f. La celebrazione comunitaria oggi si presenta quindi come un insieme di attività formato dall’interazione di categorie diverse come ozio, divertimento, cultura, spettacolo, arte, sport, ecc. che debbono svolgersi in spazi circoscritti per separare un gruppo di persone – la minoranza in f. – dagli altri, che continuano a vivere la quotidianità. A causa della parcellizzazione delle attività umane, la f. si trasforma in un evento promosso per motivazioni diverse e in tempi specifici da gruppi eterogenei, quali gruppi familiari, d’età, territoriali o professionali, collettività, istituzioni, imprese, associazioni.
Poiché non è più possibile avere una comunità coesa in una società pluralista e frammentata e non è più possibile celebrare una f. unanime, gli organizzatori di eventi cercano di costruire palinsesti festivi capaci di soddisfare tutti i gusti. Si prolungano perciò i tempi della f., si moltiplicano gli spazi, si diversificano gli eventi, si cerca di ordinare l’intera giornata, riservando la mattina a cerimonie ufficiali, giochi o avvenimenti sportivi, il pomeriggio ad attività minori, la sera alle manifestazioni principali (banchetti, spettacoli, concerti ecc.), la notte ai divertimenti informali per offrire a tutti motivi o momenti di partecipazione.
Il carattere sacro delle f. tradizionali si trasforma nei moderni rituali festivi in azione ludica e piacere psicofisico. In tal modo la f. è diventata più gioco che ritualità. Le attività festive sono sempre meno funzioni religiose e sempre più attrazioni. La magia della f. non si comunica più attraverso l’esperienza simbolica del rituale, ma attraverso l’intrattenimento e lo spettacolo, fondati su un complesso strumentario di arti e tecniche della comunicazione che richiedono anni di addestramento e di esperienza professionale.
Ciò non significa che la f. abbia perso la sua caratteristica principale, quella in cui ogni partecipante si sente protagonista. Nella f. non esiste la distinzione tra attore e spettatore. Anche se dalla f. rinascimentale e dalle meraviglie barocche fino alle grandi celebrazioni televisive dei nostri tempi come le Olimpiadi si è imposta la comunicazione spettacolare di chi detiene il potere dei simboli (principi, artisti, industria culturale, media), la f. non può essere tale se non riesce a superare i quotidiani confini e le gerarchie sociali e soprattutto se non permette l’azione dei partecipanti, limitata magari al ventre nei banchetti e ai piedi nelle danze. Che l’interazione sia il vero motore della f. lo dimostrano i grandi surrogati postmoderni del festivo: parchi di divertimento, discoteche, stadi, concerti rock, villaggi turistici. La f. non è vedere o assistere, ma è agire. (Media event; Turner Victor)

Bibliografia

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  • BACHTIN Michail, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979.
  • BERNARDI Claudio, Carnevale, quaresima, Pasqua. Rito e dramma nell’Europa moderna (1500 - 1900), Euresis, Milano 1995.
  • CARDINI Franco, I giorni del sacro. Il libro delle feste, Editoriale Nuova, Milano 1983.
  • ELIADE Mircea, Il mito dell’eterno ritorno, Rusconi, Milano 1975.
  • GIRARD René, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980.
  • HOBSBAWM Eric J. - RANGER Terence (edd.), L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987.
  • TURNER Victor, Antropologia della performance, Il Mulino, Bologna 1993.
  • TURNER Victor, Il processo rituale. Struttura e anti-struttura, Morcelliana, Brescia 1972.

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Bernardi Claudio , Festa, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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